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Il ruolo dei vaccini: il punto con il Dottor Enrico Mantero

A colloquio con l'infettivologo Enrico Mantero per comprendere meglio le ragioni della centralità di questi strumenti sanitari: ancora difficilmente accessibili in tanti Paesi in emergenza umanitaria, incontrano spesso in Occidente le resistenze dei no-vax. Come sensibilizzare in modo sempre più efficace sull'argomento?

In occasione della Settimana Mondiale dell’Immunizzazione, che ricorre quest’anno fra il 24 e il 30 aprile, abbiamo raggiunto il Dottor Enrico Mantero, pediatra e infettivologo che ha lavorato per molti anni all’Istituto Giannina Gaslini di Genova e che presiede l’associazione di volontariato Komera Rwanda Onlus. Obiettivo, fare il punto sul tema dei vaccini, ora più che mai di strettissima attualità, soffermandoci sul loro ruolo fondamentale di strumento salvavita. Quest’anno la Settimana dell’Immunizzazione mira a richiamare l’attenzione sulla necessità di garantire la continuità dei servizi vaccinali anche nel pieno dell’attuale emergenza sanitaria: continuità a rischio di essere compromessa dalle difficoltà pratiche e logistiche che l’emergenza comporta, e che potrebbero indurre molte persone a rimandare le vaccinazioni previste per sé o per i propri bambini e ragazzi.

Dottor Mantero, quest’anno la Settimana Mondiale dell’Immunizzazione cade nel pieno di una pandemia: un momento in cui come in nessun’altro dovrebbe essere chiaro a tutti il ruolo vitale delle vaccinazioni come strumento sanitario. Eppure, ancora oggi, milioni di bambini non hanno accesso alle vaccinazioni: in quali Paesi e per quali fasce di popolazione la situazione è più critica e perché?
Sicuramente la situazione è più difficile nei Paesi già colpiti da emergenze umanitarie: penso a paesi come Nigeria, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Sud Sudan, Yemen, Afghanistan e Pakistan o a Stati poveri, che vivono situazioni critiche anche sotto il punto di vista politico ed organizzativo, come buona parte di quelli che si trovano nell’Africa subsahariana. In simili realtà, purtroppo, mancano infrastrutture e mezzi pratici che agevolino l’accesso ai vaccini. Non dimentichiamo che devono essere trasportati e conservati secondo parametri ben precisi: occorrono strade percorribili, mezzi di trasporto, strumenti che permettano di mantenere la catena del freddo perché non si deteriorino.

Anche in Ruanda, Paese che conosce bene perché vi opera da tanto tempo con l’Associazione che presiede, la situazione è così critica?
No, lì la situazione, così come del resto in Kenya dove vado tutti gli anni dal 2000, è migliore, e i vaccini sono più accessibili rispetto ad altri Paesi: sono state avviate campagne capillari, e la gestione operativa è affidata ai cosiddetti “responsabili di collina” visto che il Ruanda per la sua conformazione è definito “il paese dalle mille colline”. Non solo. Potrà sorprendere, ma perfino l’attuale emergenza Covid-19 in Ruanda è stata gestita con misure di contenimento tempestive ed efficaci: il primo paziente è stato individuato il 13 marzo, e già dal giorno successivo è stata imposta alla popolazione la quarantena.

Quali sono le più gravi malattie ancora endemiche in alcuni Paesi in via di sviluppo per le quali - in teoria - il vaccino sarebbe già disponibile?
Ci sono Paesi in cui, nonostante il vaccino esista, sono ancora diffuse malattie che possono avere conseguenze molto gravi: su tutte il morbillo, le polmoniti da Streptococcus Pneumoniae e le diarree da Rotavirus, ma anche il tetano e la difterite, l’epatite B o le infezioni da Haemophilus B, un batterio pericoloso soprattutto nella prima infanzia.

Come, secondo lei, si potrebbe fare fronte al problema dell’accesso ai vaccini? Quali sono state le iniziative di maggiore successo sviluppate sino a ora?
Sulle criticità ambientali, politiche e organizzative a cui ho accennato prima bisognerebbe intervenire, non appena si presenta una anche minima stabilità, con programmi di vaccinazione il più possibile puntuali e serrati, che ricalchino le linee guida dettate dall’OMS. Come già sperimentato in alcuni Paesi, ad esempio, è opportuno muoversi prevedendo vaccinazioni su ampia scala tramite l’organizzazione di giornate dedicate e la possibilità di raggiungere direttamente le persone per vaccinarle. Negli anni passati sono anche state promosse dall’UNICEF campagne vaccinali nei paesi più poveri prima citati dove si sviluppa oltre un quarto di tutte le morti infantili al mondo

Di tutt’altra natura sono le criticità legate ai “no vax”, persone per le quali il problema non è l’accessibilità ai vaccini, ma la convinzione che siano inutili o perfino dannosi. Nella sua esperienza, quali sono le tesi sostenute con più forza da chi si oppone ai vaccini e non fa vaccinare i propri figli?
Molti genitori, a torto, sono spaventati da possibili effetti collaterali. Negli anni Novanta, ad esempio, la pubblicazione di Andrew Wakefield apparsa sul Lancet, in cui si ponevano in relazione il vaccino contro il morbillo e l’autismo, ha avuto pesantissime conseguenze nonostante sia poi stato appurato che è scientificamente infondata (oltre che fraudolenta ndr). Un’altra critica mossa alle vaccinazioni è che se ne facciano “troppe”; o, ancora, che contengano eccipienti o sostanze dannose. In tutti i casi si tratta di teorie smontate dai trial clinici: ma soprattutto oggi, con i social, queste opinioni si alimentano e circolano molto facilmente.

Ha incontrato maggiori resistenze fra le generazioni di genitori più anziane o più giovani?
Per esperienza posso dire che fino alla fine degli anni Novanta era più raro incontrare resistenze da parte dei genitori dei bambini; ho l’impressione che le teorie “no-vax” abbiano preso piede soprattutto con l’inizio del nuovo Millennio, complice la diffusione di Internet. Penso anche che le generazioni più giovani non abbiano l’idea della gravità di tante malattie che non vedono più come polio, difterite, pertosse, o che sottovalutino la gravità di altre come il morbillo.

Accanto a chi rifiuta categoricamente ogni tipo di vaccinazione, ci sono i genitori cosiddetti “selettivi”, che rifiutano solo alcuni vaccini: quali sono i più temuti, e perché?
Ho riscontrato più diffidenza nei confronti dei vaccini cosiddetti “non obbligatori” o relativamente nuovi, come quello anti Papilloma Virus o quelli anti meningococco; ma anche nei confronti di quelli costituiti da virus vivi (ma attenuati in modo da ottenere la risposta immunitaria senza provocare la malattia), come quelli contro il morbillo, la parotite o la rosolia.

Come medico ha mai avvertito la carenza di strumenti adeguati (anche digitali) che la supportassero nella necessità di sensibilizzare i suoi pazienti sull’importanza delle vaccinazioni? 
Credo che sia sempre più necessario disporre di strumenti informativi puntuali e validati che possano essere di supporto a medici e a genitori; strumenti in cui, innanzitutto, sia argomentata la sicurezza dei vaccini e in cui, soprattutto, siano illustrati dettagliatamente i rischi cui si va incontro se non ci si vaccina. Credo anche che pediatri e medici di base dovrebbero avere la possibilità di prevedere colloqui approfonditi con i genitori e i pazienti per dare loro sufficienti informazioni e rispondere alle loro domande.

Quali sono le leve su cui ritiene sia più importante insistere per sensibilizzare la popolazione sulla necessità dell’immunizzazione? 
Come ho accennato, penso sia molto importante porre l’accento sui rischi: spiegare, ad esempio, quali possano essere le conseguenze devastanti di una encefalite morbillosa, di una sepsi meningococcica, di un tetano, ma anche di una difterite, che può arrivare a provocare paralisi di nervi cranici e danni miocardici.

Come si potrebbero contrastare le tante informazioni scorrette ma, purtroppo, ampiamente argomentate e divulgate da medici “no vax” che sono ormai facilmente accessibili alle persone che vogliono documentarsi sull’argomento?
Credo che bisognerebbe controbattere insistendo, oltre che su quanto abbiamo già detto, sul concetto di immunità di gregge, che a oggi, grazie ai vaccini, ha bloccato la diffusione di malattie molto pericolose; nel momento in cui, con il calo delle vaccinazioni, l’immunità di gregge viene meno tutti ne facciamo le spese, e in particolare le persone più vulnerabili, come i bambini immunodepressi che alle vaccinazioni non si possono sottoporre.

Pensa che, nel momento in cui dovesse essere messo a punto un vaccino anti Covid-19, i “no vax” continuerebbero tendenzialmente a rifiutare la vaccinazione? 
Temo che le posizioni di molti “no vax” potrebbero rimanere invariate anche in questo caso. Non solo: trattandosi di una nuova vaccinazione, molti potrebbero essere tentati dall’idea di prendere tempo e stare a vedere “come funziona” sugli altri. Dal prossimo autunno, poi, sarà più che mai importante riportare l’attenzione della popolazione sulla necessità - ancora troppo sottovalutata - di vaccinarsi contro l’influenza e Streptococcus Pneumoniae.

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