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Il primo impatto

Come sei arrivato a capire che nella tua vita aveva fatto incursione questa malattia?

Ho capito di avere bisogno di aiuto grazie alla mia famiglia. Io ero restia ad ammettere di avere un problema, anche se, di mia spontanea volontà, mi ero rivolta in alcune occasioni alla psicologa della mia scuola. Solo dopo, nel maggio del 2013, i miei familiari mi hanno convinta a rivolgermi all’Ospedale San Paolo di Milano: qui mi sono rivolta allo sportello di accoglienza dell’ambulatorio dedicato alla cura dei disturbi del comportamenti alimentare. Inizialmente sono stata supportata da uno psicoterapeuta e uno psichiatra; poi, in luglio, ho fatto la mia prima esperienza di day hospital, sottoponendomi anche a esami medici, come quello del sangue e il controllo del peso.

Quali sono state le reazioni tue e di chi ti circonda?

Ho avuto paura di non riuscire a gestire il mio problema nel modo migliore. Non avevo grandi speranze anche in relazione alla possibilità di migliorare le mie relazioni, con la famiglia o con gli amici. Ero molto arrabbiata, il cibo era una fissazione che riempiva ogni ora delle mie giornate.


Come si affronta

Come ti sei curato? Quali le tappe o le fasi più significative del tuo percorso terapeutico?

Al San Paolo sono stata seguita da un’équipe di medici, composto da psicoterapeuta, nutrizionista, dietista, infermiere. L’ho frequentato regolarmente, almeno una volta a settimana, anche di più quando alla terapia psicologica individuale ho affiancato quella di gruppo, che mi è stata molto utile. Nel mio gruppo ho avuto modo di confrontarmi con ragazze che si trovavano in situazioni critiche come la mia o in via di guarigione: non solo persone che soffrivano di anoressia, ma anche, per esempio ragazze bulimiche o autolesioniste, e questo mi è stato molto utile. Con alcune ho instaurato rapporti di amicizia, e ci frequentiamo anche fuori dall’ospedale. Non sono mancati anche momenti critici: è stato difficile, per esempio, iniziare ad assumere psicofarmaci, nello specifico antidepressivi. L’esperienza è stata pesante, sia prima sia dopo: capivo di essere in un tunnel del quale non riuscivo a vedere l’uscita. Proprio per questo non ho mai avuto momenti di rifiuto nei confronti della psicoterapia, anzi le sedute psicoterapeutiche sia individuali che di gruppo erano il mio modo di sfogare le mie paure e i miei timori.
Nonostante ora sia fisicamente guarita, però, continuo a frequentare sia la psicoterapeuta, sia lo psichiatra: voglio farlo finché non mi sentirò completamente sicura di me stessa


Cosa cambia

Come è cambiata la tua vita da quando hai affrontato/stai affrontando questo problema di salute?

Credo di avere finalmente uno sguardo più lucido sulla realtà; vivo nel presente, mi faccio meno problemi, sia dal punto di vista alimentare, sia da quello personale. Mi concedo più divertimenti, per esempio esco volentieri il sabato sera con gli amici, o a mangiarmi una pizza. Non sento più il bisogno di stare chiusa in casa, di controllare ogni cosa che mangio, di dedicarmi esclusivamente agli studi pensando solo ad ottenere buoni voti.

Quali sono le emozioni che quotidianamente devi affrontare?

Ho dovuto affrontare momenti di solitudine, e anche la perdita di qualche amicizia; anche in famiglia ho dovuto e tuttora devo affrontare incomprensioni o litigi; qualche volta mi rendo conto di fare fatica a integrarmi con le persone, di essere un po’ insofferente. Nonostante questo ho una vita abbastanza piena: lavoro, studio e faccio sport. Insegno e pratico nuoto sincronizzato, e frequento la facoltà di Architettura all’università.


Piccoli consigli

Come reagire

Il consiglio che mi sento di dare è quello di chiedere aiuto, senza paura di essere giudicata come un peso. Non bisogna avere timore delle persone che abbiamo intorno e che ci possono aiutare, si tratti dei medici o della famiglia, il cui supporto è importantissimo. Tengo molto anche a dire che, per quanto sembri difficile, di anoressia si può guarire.

Come dirlo alle persone care

Nella fase più critica della mia malattia, come ho detto, non riuscivo a esprimere il mio malessere, che era però evidente. Adesso mi sento di dire che bisogna parlarne, senza vergognarsi. Una persona malata di cancro non deve vergognarsi di dirlo, e così chi soffre di anoressia, che è una malattia vera e propria.

Come informarsi sulle cure migliori

A chi deve iniziare un percorso di cura consiglierei di rivolgersi al San Paolo! Il punto di forza del centro è la presenza di un’équipe completa: credo non si debba cadere nell’errore di pensare che basti rivolgersi a uno psicologo, perché non può gestire tutto da solo. Bisogna fare in modo di essere supportati sotto tutti i punti di vista.

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